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LA NEWSLETTER SETTIMANALE DI ANDREA BATILLA

COME SI CURA IL MADE IN ITALY

Arrivare in quell’azienda in centro Italia era un viaggio lunghissimo, tanto che dovevamo fermarci almeno una notte per avere il tempo di lavorare. Si trattava di una piccola struttura a conduzione familiare che produce, ancora oggi, un paio di brand di proprietà. Non dirò il nome dell’azienda. Il mio lavoro consisteva nel capire che cosa avessero in mente i proprietari, dove si immaginassero di arrivare, che cosa potessero dire con la loro limitata capacità produttiva e la loro limitata e provinciale visione del mondo.

Il marchio principale aveva una sua strana precisione estetica che derivava dalla mente ingarbugliata di uno dei figli che cercava disperatamente un’indipendenza creativa dal padre, dalla madre, dalla sorella, dai direttori marketing e dagli agenti. E anche dalla moglie.

Avevo presto scoperto che i legami familiari funzionavano a corrente alternata con devastanti sovraccarichi di energia e improvvisi cali di tensione. Non si riusciva a districarsi da quella melma emotiva in cui la famiglia galleggiava, lenta e inesorabile come sabbie mobili. Le riunioni erano un inferno di scontri verbali, di tentativi di manomissione del progetto da parte della madre, di tentativi di pacificazione da parte del padre, di fughe, di assenze, di continui sviamenti dal prendere decisioni.

Il cuore del brand mi sembrava limpido e pensavo che seguisse in maniera coerente la storia famigliare ma nessuno di loro pensava che questa fosse una cosa importante. Preferivano inscenare lunghi psicodrammi che rallentavano il già arrancante movimento dell’azienda. Un giorno ho scoperto che il figlio che aveva in mano la parte creativa della collezione suona la chitarra. In un momento di calma mi ha raccontato che ogni sera, arrivato a casa, si chiudeva nella cantina che aveva fatto insonorizzare e suonava. Solo. Non voleva che nessuno lo sentisse, che nessuno partecipasse a questo suo unico momento di libertà.

Dopo che il contratto è finito mi sono chiesto che cosa avrei potuto fare di più per aiutarli. La loro era una richiesta chiara di aiuto ma io al tempo non avevo ancora la capacità di staccarmi dalla componente umana per tentare di renderla più fluida, più controllabile.

Questa è la storia, vera, di una tra le tante piccole aziende che compongono la strana galassia che chiamiamo Made in Italy che protende le sue lunghe radici dentro dinamiche familiari involute ma che contiene in sé la capacità di sopravvivere.

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