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Anna Wintour non va proprio da nessuna parte

Con l’addio a Vogue non si esaurisce la sua (gigantesca) influenza sui destini di Condé Nast, ma finisce l’era degli “editor in chief”

“La regina ha abdicato”

“Si conclude un’era”

Queste, e molte altre corbellerie simili, si sono lette dopo il 26 giugno, giorno nel quale Vogue stesso (Opens in a new window) ha annunciato che la direttrice di Vogue US Anna Wintour si sarebbe concentrata maggiormente su altri ruoli interni all’azienda, e di conseguenza prontamente sarebbe iniziata la ricerca di una nuova leadership per il giornale fondato nel 1892 dal businessman Arthur Baldwin Turnure.

Il suo insediamento nel 1988, con quello che oggi definiremmo in termini economici un “hostile takeover”, fu una sorpresa anche per quella che fino al giorno prima era direttrice, Grace Mirabella, a cui la notizia venne data da suo marito, che lo aveva sentito al notiziario della sera (Amy Odell racconta la storia in questo op-ed per il New York Times (Opens in a new window) ). Negli anni del suo regno – perché il potere del quale era recipiente, è più paragonabile a quello di un regnante che di un semplice direttore – Vogue Us ha avuto il merito di modernizzarsi di fronte agli occhi dei lettori: la prima copertina ritraeva la modella Michaela Bercu – fotografata da Peter Lindbergh e con lo styling di Carlyne Cerf de Dudzeele – con indosso una giacca haute couture di Christian Lacroix corredata da una maxi croce decorata da altrettanto sovradimensionate perle – e, stupore, un jeans stonewashed di Guess. L’idea originale sarebbe stata quella di metterle il pantalone abbinato, ma la modella israeliana era appena tornata da una vacanza a casa sua, e come molti di noi di ritorno da casa, aveva messo su qualche grammo, che non le consentiva di entrare nel suddetto pantalone (la storia è raccontata dallo stesso Vogue (Opens in a new window)).

(Qui sotto trovate Miranda Priestly che parla con Anna Wintour, name a more iconic duo)

https://www.youtube.com/watch?v=dW4wpGg64pE (Opens in a new window)

La scelta del jeans fu quindi un ripiego, che però ebbe un inusitato successo, perché contribuì a incapsulare in una sola immagine quello che sarebbe stato lo spirito del Vogue di Anna Wintour: far dialogare la moda, isolazionista ed elitaria per vocazione genetica, con le masse, rendendola pop. Pop, nel suo caso, non ha mai voluto dire “popolare”, perché come sostiene la stessa Odell nel suo op-ed che abbiamo già citato, prima che arrivasse la fase della body-positivity, dell’inclusivity e del conseguente battersi il petto in una sorta di atto di dolore couture – ammettendo nel 2020 che sì, Vogue non ha avuto tra i suoi tanti pregi quello di essere particolarmente inclusivo (Opens in a new window) - il giornale era una “menagerie internazionale di nepo-baby”. La stessa Anna Wintour è tra l’altro figlia di Charles Wintour, glorioso londinese e direttore dell’Evening Standard tra il 1978 e il 1980.

Oggi però, dopo 37 anni di regno, Wintour ha deciso di entrare in una nuova fase della sua carriera: la notizia della sua dipartita da direttore di Vogue alla sua redazione ha voluto darla lei, con delle dichiarazioni poi riportate dalla stessa rivista.

(Qui Anna risponde al famoso format di Vogue, 73 questions with)

https://www.youtube.com/watch?v=lpThFy9V3Ck (Opens in a new window)

«Chiunque lavori in un settore creativo sa quanto sia essenziale non smettere mai di crescere nel proprio lavoro. Quando sono diventata direttrice di Vogue, ero ansiosa di dimostrare a tutti coloro disposti ad ascoltarmi che esisteva un modo nuovo ed entusiasmante di immaginare una rivista di moda americana. Ora mi rendo conto che, per me, la più grande soddisfazione è essere in grado di supportare una nuova generazione di editor pieni di passione, aiutandoli a fare il loro ingresso in scena con le loro idee, sostenute da una visione nuova ed entusiasmante di ciò che può essere una grande azienda mediatica. E questo è esattamente il tipo di persona che dobbiamo cercare come nuovo head of content di Vogue US».

Per quanto non si sappia ancora chi sarà scelto per sostituirla alla guida del magazine, due dati appaiono lampanti: il primo è che il suo “rimpiazzo” non disporrà mai del suo potere. Infatti il titolo di chi arriverà dopo di lei non sarà “editor in chief”, cioè il succedaneo del nostro “direttore”, ma “head of content”, più banalmente un redattore che sia “a capo dei contenuti”. Questa trasformazione era già stata applicata a tutti i ruoli apicali dei Vogue che non fossero il suo. In Italia l’ultimo editor in chief è stato Emanuele Farneti che ha mantenuto quel ruolo fino al 2021, quando Francesca Ragazzi è divenuta Head of content; nello stesso anno quel ruolo è andato a Eugénie Trochu, a capo di Vogue France (ex Vogue Paris), per poi passare nel 2025 a Claire Thomson-Jonville; nel 2024 al British Vogue, con la stessa qualifica si è insediata Chioma Nnadi. Un assunto che vale per tutte le edizioni più importanti di Vogue (comprese Spagna e Germania), ma esclude quelle realizzate con accordi di licenza, come Vogue Australia – dove Christine Centenera ricopre il ruolo di editor in chief. Questo, banalmente, significa che Anna Wintour ha l’ultima parola sulle copertine di Vogue e sui suoi contenuti, che vengono da lei controllati per essere in linea con lo spirito originario della rivista, cioè quella incarnata da Vogue Us. Un tipo di approccio che negli anni ha cancellato le identità tipiche dei singoli Vogue, che rispecchiavano a loro volta la cultura e l’estetica dei paesi nei quali erano nati, omogeneizzando il tutto all’estetica regina, quella americano-centrica. Un lavoro di “colonizzazione culturale” che impone copertine di celebrities – che prima erano inesistenti, soprattutto sul Vogue Italia, mentre sono sempre stata un’abitudine negli Stati Uniti – da far vidimare comunque a Wintour, per verificare che abbiano un potenziale di rilevanza anche al di fuori del singolo paese nel quale vengono prodotte: approccio che torna poi utile per poter “spalmare” un contenuto su più edizioni, producendo un sostanziale risparmio (le copertine realizzate in collaborazione tra più magazine, come quelle tra Vogue Us e il British Vogue, o anche solo quella dedicata a Rosalìa del novembre 2022 (Opens in a new window), pubblicata da Vogue Italia e Vogue Spagna, sono un esempio).

Il secondo dato è che, più che un abbandono del ruolo manageriale all’interno di una sola rivista di Condé Nast, questo spostamento rappresenta una ricalibrazione della sua attenzione: oltre a rimanere il direttore editoriale globale di Vogue – e quindi, il nuovo capo dei contenuti editoriali dovrà riportare comunque a lei – Wintour manterrà il suo ruolo di Condé Nast global chief content officer, ruolo assunto nel 2020, e che le ha permesso un maggiore controllo su tutte le riviste del portfolio dell’editore (Vanity Fair, Wired, GQ, Architectural Digest, Bon Appétit, Condé Nast Traveler). Non di meno, come da dichiarazioni ufficiali della Wintour, molte delle sue responsabilità in Vogue rimarranno invariate, «tra queste, monitorare da vicino la fashion industry, la forza culturale e creativa che il nostro straordinario Met Gala riesce a generare, il corso delle future edizioni di Vogue World e qualsiasi altra idea originale e audace che ci possa venire in mente. E, ovviamente, ho intenzione di rimanere per sempre l'editor di Vogue per quanto riguarda il tennis e il teatro».

Svanisce così il ruolo del direttore plenipotenziario – almeno all’interno di Vogue – e inizia l’era del panopticon foucaultiano di Anna Wintour. Se a voi sembra un’abdicazione, forse non avete prestato troppa attenzione.

We are the fashion pack

The tortured audiovisivo’s department

Official Soundtrack della settimana

https://www.youtube.com/watch?v=UpYapWU--JA (Opens in a new window)

Gli Arcade Fire sono tornati, con un brano che parla di cambiamenti nel modo nel quale solo gli Arcade Fire possono: con cristalli, van reduci da tempi migliori, margherite nei capelli, e chissà quale meravigliosa sostanza allucinogena nell’apparato cardio-circolatorio. Siamo in un momento difficilissimo tutti quanti: sono consentiti piantini, una tristezza maliconica, e poi il coraggio di affrontare con una moderata dose di serenità ciò che il destino ha in serbo per noi, mettendoci, ovviamente, del nostro. Nella speranza folle e immotivata che possa servire a qualcosa.

“It’season of change, and if you feel strange, it’s probably good”

Ci risentiamo la settimana prossima, a presto

Giuliana

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