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ALTA MODA AI 2026

BALENCIAGA

Nel caos che regna nel mondo della moda e ancora di più all’interno di Kering, ci sono rari punti fermi, da cui forse bisognerebbe ripartire.

Mentre voci incontrollate danno in uscita Stefano Cantino, CEO di Gucci e addirittura Francesca Bellettini, Deputy CEO di Kering, il nuovo Amministratore Delegato del gruppo, Luca de Meo, dovrebbe concedersi il tempo di sedersi ad un tavolo con Demna e farsi spiegare nel dettaglio come funziona il commercio di vestiti.

Tutto ciò che facciamo, compriamo, costruiamo, attraversiamo, mangiamo o beviamo è il risultato di una cosa che si chiama desiderio, quasi mai di una che si chiama necessità. Viviamo dentro un mondo soggettivo, spinto da impulsi sui quali pensiamo di avere una qualche forma di controllo anche se non è quasi mai così. Abbiamo anche creato un territorio chiamato subconscio per giustificare desideri inconfessabili e scelte incomprensibili. 

Il marketing degli anni ’80, non sapendo come approcciarsi a questo strano fenomeno, gli ha dato il nome di valore immateriale o simbolico, che non vuol dire niente. Semplicemente scavalca il problema.

Il territorio del desiderio, così poco indagato, è ciò che muove primariamente gli acquisti del lusso e per quanto si cerchi, in maniera esasperante, di ricondurre tutto a concetti facilmente governabili come la qualità o il Made in Italy, la verità è che nessuno compra una giacca di Prada per le sue qualità tecniche. Nè una di Gucci o di Balenciaga perché è fatta in Italia.

Il rifiuto sistemico di scandagliare le origini profonde di questi desideri ha portato a traslare nei direttori creativi una specie di potere magico che avvicina o allontana i clienti finali. Se in tutte le altre forme d’arte c’è una costante ricerca del significato narrativo delle opere, la moda preferisce non farsi domande così scomode, difficili, pericolose. 

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Argomento REVIEW

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